Storytelling sì, storytelling no: chi si occupa di copywriting e scrittura per il web ne ha ormai sentito parlare in tutte le salse. Si tratta di un termine ormai abusato? Di un altro inglesismo inutile? O di una tecnica portentosa spesso mal utilizzata? Io, personalmente, sono convinta che per chi scrive sia indispensabile porsi il problema: come fare storytelling in maniera efficace? Come scrivere meglio, raccontando un brand e creando engagement grazie a dei buoni contenuti?
Ok, so cosa state pensando. Facciamo un passo indietro: dimentichiamo per un attimo l’inglese (lingua di cui sono in realtà una grande fan, se non altro per la sua capacità di sintetizzare i concetti) e utilizziamo il termine narrazione, senza caricarlo di altri significati se non quello basilare, affascinante e affatto semplice di “raccontare”.
In questo articolo non pretendo di svelare portentose tecniche di corporate storytelling, né di spiegare in maniera esaustiva come raccontare un prodotto o un’azienda: per tutto questo ci vorrebbe ben più di un post sul blog. Questo è solo il primo di una serie di articoli sul tema tanto amato/odiato, in cui proverò a condividere con voi degli spunti di riflessione, di varia natura, sulla scrittura narrativa.
In questo primo post lo farò a partire da Westworld, la serie fantascientifica della HBO che sta spopolando tanto negli USA quanto in Europa. Non si tratta solo di un prodotto ben scritto e ben narrato: Westworld ha a che fare con lo storytelling anche per la scelta dei suoi contenuti, che ritengo interessanti per chiunque si occupi di scrittura, di racconti e storie.
Non farò spoiler, promesso: la serie (o almeno la sua prima stagione, ancora in corso) merita tutta la vostra attenzione!
Universo serie: linguaggio autonomo e tecniche di narrazione
Ebbene sì, anche io sono una fanatica delle serie. E come potrei non esserlo, da appassionata di tecniche di narrazione di ogni tipo quale sono? Grazie a internet e a servizi on demand come Netflix, le serie non sono più classificabili come “prodotti per la tv”, ma costituiscono sempre di più un linguaggio con una propria autonomia, che non ha nulla da invidiare al cinema. Mi piace scoprire produzioni meno conosciute, capaci di una narrazione sperimentale e “azzardata”, sia nella forma che nel contenuto. Ma è di Westworld, che mi sono innamorata ultimamente. Altissimi budget, regia, scrittura e interpretazione di tutto rispetto; perché è proprio questo il racconto a puntate che ci sta tenendo incollati agli schermi? Faccio un ulteriore passo indietro.
Cosa è lo storytelling?
Lo storytelling è l’arte di narrare storie. E fin qui, si potrebbe dire, c’eravamo già arrivati tutti. La solita mania di mettere i nomi inglesi ai concetti. Ma questo è solo in parte vero. Perché, se in origine la parola “storyteller” significava “cantastorie” (a me viene sempre in mente Omero o, in alternativa, il galletto-musico voce narrante di Robin Hood), oggi il concetto si è esteso al di là di lire e folklore. Si parla di storytelling come approccio, come mezzo per influenzare e persuadere, per emozionare, emergere e essere scelti.
L’essere umano è un animale narrante, che abita una realtà pervasa di simboli, in ogni ambito: per ogni scopo che ci troviamo a dover raggiungere, dal convincere un potenziale datore di lavoro a darci il posto durante un colloquio, fino alla creazione di una campagna natalizia per Instagram, mettiamo in atto degli espedienti narrativi, persuasivi, che tocchino le corde emotive (ma non solo) dei nostri simili, spingendoli a compiere un’azione. Questo vale ancora di più nell’ambito del web, in cui per farsi ascoltare e emergere da una massa informe di offerte è necessario essere piuttosto convincenti. Senza mezzucci facilmente smascherabili, aggiungerei.
Per cui, lo storytelling non è “solo” l’arte di raccontare delle storie: è un’arma potente, preziosa alleata del copy e dell’imprenditore. Un mezzo che smuove coscienze e può spingere ad agire.
Sono convinta che il bravo copy (o storyteller) sia un instancabile divoratore di storie: a lui, o lei, è dato l’importante compito di crearle, e di vederle ancor prima che siano in forma compiuta. Gli serve, dunque, un occhio ben allenato, come al compositore occorre un orecchio abituato all’ascolto per poter dar vita a nuovi brani musicali.
E allora torniamo a Westworld: perché ci fornisce un buon esempio di storytelling? Ecco la mia personale visione:
Engagement e immedesimazione: chi sono i protagonisti?
Westworld genera un coinvolgimento di livello superiore. I suoi 12 milioni di spettatori non solo lo seguono avidamente, ma ne parlano sui social, sui forum, ipotizzando su blog e magazine online le prossime svolte nella trama o le possibili teorie che ne spieghino i misteri. Insomma, una comunità di utenti particolarmente interessata a un prodotto.
Include inoltre tutti gli elementi della narrazione che possono interessare anche chi si occupa di storytelling aziendale:
- una storia che si svolge in un mondo che chiamerò interno: il parco divertimenti a tema western, in cui vivono e agiscono gli host androidi, indistinguibili (o quasi) dagli ospiti paganti, esseri umani alla ricerca di esperienze forti. Tale storia è focalizzata sul “cosa“: azioni, avvenimenti e personaggi che agiscono in un ambiente;
- una storia che va avanti in un universo esterno (costituito da tecnici e scienziati, creatori del parco), che si focalizza sul “come”: come scrivere la storia degli host? Quali intrecci ideare? Come trasmetterla al pubblico pagante, coinvolgendolo?
Non svelo, naturalmente, il modo in cui i piani si mescoleranno 😉
Uno dei punti fondamentali che caratterizzano Westworld è che gli esseri umani si immergono del tutto nello script, creato per il loro divertimento, diventando essi stessi attori e non più semplici spettatori. Così, anche nello storytelling per le imprese, per fare la differenza non bisogna limitarsi a raccontare la propria storia: è necessario invitare gli altri a farne parte, attraverso, per esempio, l’interazione con i social media. Fare in modo che ci sia immedesimazione: quel fenomeno che, inevitabilmente, coinvolge gli ospiti del parco a tema storico, rendendoli protagonisti.
«Ford’s stories are engaging»
Qualcosa di vecchio, qualcosa di nuovo…
… qualcosa di prestato e qualcosa di blu. No, non parliamo di matrimonio, ma del passo precedente… l’ engagement (il famoso coinvolgimento-fidanzamento)! Westworld infatti possiede gli ingredienti in grado di creare una storia coinvolgente e appassionante.
- ri-evoca: utilizza qualcosa di vecchio, che il pubblico già conosce, come il mito del selvaggio west, per riportare alla mente emozioni e immagini legate a un luogo e a un periodo (il sogno americano, la wilderness, la ricerca della libertà). Immagino un copy alle prese con il racconto di un’azienda: pesca nelle radici, nel passato, per mostrare al pubblico le origini di una realtà e evocare un senso di sicurezza, di familiarità.
- crea: utilizza nuove invenzioni, proiettando nel futuro i personaggi e gli eventi. Mostra tecnologie sconosciute e usa colpi di scena sorprendenti, inaspettati. Anche il bravo copywriter, che prima ha portato alla luce la mitologia e, talvolta, l’albero genealogico della fortunata impresa che intende raccontare, proietta il proprio sguardo nel futuro: quali sono ora, i progetti dell’azienda?
- cita: prende in prestito, ancora una volta, elementi familiari, rielaborandoli e riconsegnandoli trasformati al pubblico, per arricchire l’esperienza. Il copy si lascia ispirare da altro e da altri, per consegnare all’utente una storia emozionante.
E il blu? Beh, la sua fotografia in effetti ci regala anche delle fredde tonalità che vanno dal celeste al blu più cupo!
Gli spettatori, dunque, si immergono nel racconto orchestrato dal controverso Ford, proprio come fanno gli ospiti del mondo fittizio ispirato al west. Episodio dopo episodio, Westworld instaura un legame con il suo pubblico, proprio come l’azienda che, attraverso un sapiente corporate storytelling, crea engagement e avvicina gli utenti, fidelizzandoli grazie (anche) al potere della narrazione.
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Ambientazione = luogo + essere umano
Una volta un regista al quale devo gran parte della mia formazione mi disse che un corpo umano in un ambiente è già l’incipit di una storia.
I paesaggi e i luoghi, tramite l’azione di qualcuno al loro interno, diventano ambientazione. E l’ambientazione è un elemento fondamentale, poiché delinea il rapporto tra l’essere umano e il mondo. Si tratta di uno spazio fisico che si definisce in base alla relazione che ha con i personaggi, con le persone che lo abitano. A loro volta, sappiamo bene che gli umani vengono plasmati dai luoghi in cui vivono e agiscono, lavorano e creano relazioni. Il profondo rapporto tra luogo e identità, concetto chiave per il corporate storytelling, è dato anche e soprattutto da questo passaggio: luoghi che sono diventati abitati e abitabili.
Per chi si occupa di storytelling aziendale è fondamentale quindi creare un’ambientazione, disegnare un’atmosfera che risulti viva poiché agìta. Penso, per esempio, a chi vuol raccontare storie di imprese agricole, di cantine, caseifici, o delle tante aziende impegnate nei settori principali del Made In Italy: tutte realtà profondamente connesse con i luoghi di appartenenza, in cui l’ambientazione svolge quasi il ruolo di un personaggio.
Westworld ce ne fornisce un ottimo esempio, con i suoi paesaggi selvaggi, i colori, le luci: tutti gli elementi visivi ci riportano alle tematiche care all’immaginario americano, come la “wilderness”. Questi luoghi, così ben fotografati, sono una casa per gli host e un posto sognato da sempre per gli umani. Un’ ambientazione, dunque, evocativa e emozionale, un’atmosfera che arriva chiara e diretta al pubblico, trasmettendo dei valori.
Narrazione che trasforma, edifica e influenza
Uno dei meriti di Westworld è quello di mostrarci la potenza del racconto: le parole plasmano la realtà, creano continuamente movimento e operano delle trasformazioni. Per citare un solo esempio tra i tanti: a ogni androide viene fornita una storia precedente, una sua memoria, intorno alla quale è costruita la sua intera identità. Questa storia viene chiamata cornerstone, “pietra angolare”: la pietra più importante, che sorregge l’intero edificio. Se, come storyteller, forniamo ai nostri personaggi una pietra solida sulla quale costruire un’identità, abbiamo già portato a termine metà della narrazione.
Le storie orientano la nostra percezione e influenzano la nostra visione del mondo: lo hanno capito i grandi colossi commerciali, e lo ha capito, da tempo, la politica. Assistiamo continuamente all’utilizzo di storie (l’ultimo esempio, solo in ordine di tempo, è quello che riguarda la campagna elettorale negli Stati Uniti, che ci ha mostrato l’utilizzo spregiudicato di più di una narrazione); assistiamo quindi non al mero racconto di fatti, ma a delle operazioni tese a delineare l’identità di un popolo, di un luogo, di un gruppo sociale.
Meglio per noi, quindi, saper maneggiare le storie; meglio per chi scrive per mestiere saperle raccontare e utilizzare, responsabilmente.
Narrazioni differenti per copy (e blogger) che osano
La narrazione a più voci di Westworld ci pone davanti a interessantissime questioni sul presente e sul futuro: ci fa riflettere sul rapporto con la tecnologia, con l’intelligenza artificiale; pone quesiti sulla sottile linea che divide realtà e finzione, tema affascinante per chiunque si occupi di narrazione e storytelling. Ci parla di questioni etiche e temi d’attualità, di libertà di scelta e di limiti.
Tutto questo non mi ha fornito delle risposte, ma ulteriori spunti da utilizzare per scrivere meglio. Uno tra questi è: come trasmettere dei valori attraverso lo storytelling? Credo che la risposta sia da cercare nell’ascolto: nel caso del copy impegnato nel racconto dell’azienda, i valori da trasmettere attraverso la narrazione, per suscitare emozione e generare azioni da parte del pubblico, emergeranno da un ascolto profondo dei protagonisti.
Certo, si parla di intrattenimento: Westworld intrattiene poiché fornisce una risposta ai bisogni del pubblico, ma lo fa in modo coraggioso, poiché stupisce ed è in grado di osare. Sono gli indizi disseminati qua e là, i cliffhanger, le piccole e grandi rivelazioni che tengono gli spettatori con il fiato sospeso, settimana dopo settimana. Se come blogger riuscissi a creare anche solo un decimo dell’attesa e del coinvolgimento, beh, avrei davvero vinto la lotteria. E se, come pochi, imparassi a intrattenere un pubblico, sorprendendolo e generando curiosità, saprei fare davvero un gran lavoro.
Spunti per una narrazione di genere
Ci tengo, infine, a sottolineare un aspetto che potrebbe sembrare secondario, ma non lo è. La narrazione dei personaggi femminili è, per un prodotto del calibro di Westworld (che possiamo definire mainstream, anche solo per la produzione massiccia che ha alle sue spalle), non rivoluzionaria, certo, ma molto interessante. Le donne in Westworld sono personaggi assertivi; agiscono non perché mosse da desideri che ruotano intorno all’amore per un uomo, ma perché spinte dalla voglia di autoaffermazione. E questo a prescindere dal mestiere o dalla posizione di potere che occupano. Una narrazione diversificata, anche in ambito web, ci aiuta a avvicinarci al pubblico, evitando stereotipi e luoghi comuni.
Concludo allora con la battuta di uno dei personaggi (femminili) più riusciti della serie, che mi ha ispirata e accompagnata per giorni e che spero sia d’ispirazione per ogni copywriter o storyteller:
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4 comments
Morrilwen
dicembre 2, 2016 at 12:52 pm
Come sempre è un piacere leggerti. Il tuo articolo mi ha scatenato una miriade di considerazioni ma data la mia tendenza ad essere polemica mi limiterò, per ora, a citati un paio di titoli che a mio avviso hanno una narrazione strepitosa:
“La fiamma del peccato” film del 1944
“Vero come la finzione” film del 2006
“le regole del delitto perfetto” serie tv del 2014
Primavera Contu
dicembre 2, 2016 at 1:28 pm
Grazie! Mi appunto tutto 🙂 Purtroppo non basta una vita per fruire di tutte le buone narrazioni che vengono prodotte…
Mi intriga molto il fatto che il titolo originale di “Vero come la finzione” fosse in realtà “Stranger than Fiction” 🙂 in questo caso, preferisco la versione italiana!
Morrilwen
dicembre 2, 2016 at 1:00 pm
P.s. non polemica nei tuoi confronti fronti ma nel modo che oggi alcuni hanno di fare comunicazione 🙂
Primavera Contu
dicembre 2, 2016 at 1:33 pm
Credo di capire cosa intendi. Sento spesso parlare male del termine “storytelling”, in quanto abusato. La realtà però è che viene spesso chiamato storytelling ciò che non lo è! Per citare un’amica (vado a memoria): “pubblicare una foto di una tramonto con qualche hashtag qua e là non è fare storytelling!”. Insomma, io cerco di difendere e provo a diffondere la qualità, che credo paghi semore (sono un’ottimista). I lavori fatti male, secondo me, hanno le gambe corte.