Comunicare: il linguaggio, il genere e la percezione del mondo
Ho appena visto Arrival, la nuova fatica del regista Denis Villeneuve, considerato da gran parte della critica il capolavoro fantascientifico del 2016. L’ho apprezzato, nonostante la mia solita diffidenza verso Hollywood e i blockbuster, perché è una riflessione sul linguaggio, sulla possibilità e la voglia (tutta umana?) di comunicare. Non solo: si tratta di “buona fantascienza”, quella che costruisce l’intera narrazione su un what if; in questo caso, l’ipotesi di partenza è che il linguaggio sia in grado di modificare le nostre percezioni. Cosa accadrebbe se questo fosse vero? La linguistica in questo film viene posta accanto a una scienza “dura” come la fisica, cioè a pari dignità (elemento che ha causato un mio personale picco di gioia), e la bella teoria di un linguaggio che regoli la percezione della realtà ha generato in me altre riflessioni sull’uso delle parole per comunicare sul web.
Non svelerò nulla di più sul film, che vi consiglio semplicemente di vedere (fatemi poi sapere, nei commenti, cosa ne pensate). Proverò invece a condividere con voi alcune considerazioni meno fantascientifiche sulla comunicazione, sulla scelta delle parole e sulla possibilità di ridefinire un linguaggio che tenga conto delle differenze, anche di genere.
La scelta delle parole: quando la lingua ci aiuta a non lasciare indietro nessuno
Le parole contribuiscono a definire l’identità, sia individuale che collettiva; sia di un brand che degli esseri umani. Sono capaci di raccontare le diversità, veicolarle e, talvolta, crearle. Si fanno carico di una rappresentazione. Il linguaggio ha un sé un potere immenso ed è spesso terreno di scontro, non solo linguistico o simbolico.
Il progetto Parole O_stili fà di questo potere il suo leitmotiv; le riflessioni proposte da questo evento, che coinvolge alcuni tra i maggiori professionisti del linguaggio (linguisti, giornalisti, blogger e anche diversi politici) si basano sull’idea che le parole siano vere e proprie azioni. L’organizzazione dell’evento ha scelto di invitare, fra gli altri, la terza carica dello Stato, rappresentata dalla ministra Laura Boldrini, spesso oggetto di discredito mediatico e di offese sessiste sui social media per via della sua attenzione alla parità di genere anche nell’utilizzo della lingua.
Spesso le trasformazioni sociali che hanno coinvolto le donne (e i generi) non hanno coinciso con dei cambiamenti linguistici ufficiali, complice una retorica che vede la lingua italiana non come un processo, ma come un qualcosa di intoccabile e di immutabile; una lingua non soggetta a cambiamenti che potrebbero “snaturarla”. Ma l’amore per la lingua e la difesa della sua purezza nascondono spesso un disagio nel riconoscere la presenza nello spazio pubblico e politico delle donne e del genere femminile. E se Laura Boldrini si batte per un uso del femminile nell’indicazione dei ruoli politici istituzionali (come ad esempio il tanto discusso sindaca, o ministra), il mondo di chi lavora con le parole si divide tra sostenitori del cambiamento e “scettici”.
Un’interessante e completa raccolta di Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana è riportata nel documento a cura della linguista Alma Sabatini, scritto nel 1987 ma ancora attuale, e nella guida Donne, grammatica e media. Suggerimenti per l’uso dell’italiano, a cura di Cecilia Robustelli, realizzata nel 2014 in collaborazione con l’Accademia della Crusca. Questa guida, in particolare, è pensata per il mondo del giornalismo e di chi lavora con la comunicazione: contiene dei consigli pratici «affinché l’informazione riconosca, rifletta e rispetti le differenze, a partire da un uso corretto del linguaggio». Pur concentrandosi sulla grammatica e sull’utilizzo non sessista di nomi e aggettivi, anche nelle forme nuove, propone un cambiamento di prospettiva per chi si occupa di informazione e comunicazione sui media: un invito a riconoscere, con rispetto e serietà, senza esitazioni, l’importanza dei ruoli ricoperti dalle donne.
Scegliere le parole che accolgono il cambiamento significa anche ridisegnare, attraverso il linguaggio, un sistema condiviso di valori e simbologia rispetto ai ruoli attribuiti ai generi. E riconoscere la presenza delle donne nelle istituzioni, per modificare la percezione dei rapporti di potere.
Ehi! A proposito di parole… hai visto questo? Cosa fa un copywriter? Glossario per una comunicazione più efficace
Un apostrofo (non rosa) tra le parole “un” e “utente”
Qualche settimana fa ho scritto un post su Facebook in cui raccontavo di un’utente che mi aveva fatto un bel complimento in merito alla gestione di una pagina. Piena di gioia e orgoglio, ho voluto condividere l’esperienza sul mio profilo personale. Ho chiesto poi ai miei contatti di segnalarmi errori e refusi. Poco dopo è arrivato un messaggio privato che, con grande gentilezza, mi consigliava di omettere l’apostrofo, poiché poteva creare ambiguità. Anzi, poteva essere scambiato per un errore grammaticale, facendomi rischiare una figuraccia. Questo perché il lettore in questione, come probabilmente tante altre persone, ha immaginato l’utente nella sua accezione maschile.
Se in questo caso la grammatica ci aiuta a scongiurare ogni ambiguità data dal doppio genere del sostantivo (l’apostrofo indica infatti il genere femminile dell’utente), l’abitudine a considerare “normale” che si parli di un uomo, laddove non venga aggiunta la specifica “donna”, può creare confusione. Naturalmente, non ho modificato quell’apostrofo, ma ho provato a ragionare con il lettore (e con altri dopo di lui) sulla necessità opposta: quella di abituarci a non dover specificare “donna”, come se fosse sempre un’eccezione alla regola, ma di esaltare le possibilità che la lingua ci fornisce per differenziare il genere. E di sostenere il cambiamento delle vecchie abitudini, quando è necessario.
Facebook, e tutti i social media, possono e devono essere dei luoghi in cui costruire un linguaggio rispettoso, attento alle diversità. Attraverso un dialogo ricco di empatia e di ascolto, è possibile comunicare sul web in un altro modo. Chi lavora con la scrittura online ha la responsabilità e la possibilità di scegliere un linguaggio accogliente, inclusivo, che esalti le differenze per giungere a un’uguaglianza. Perché non sono “solo parole”.